Posted giugno 13, 2005 by

Cappuccetto Rosso e la bulimia

C’era una volta una bambina che viveva con la mamma ai margini del bosco. Il suo nome era Cappuccetto Rosso. Fermiamoci qui, mi pare che ce ne sia già abbastanza per reclamare a gran voce l’intervento di un assistente sociale.
Il fatto che lei vivesse sola con la mamma non desterebbe alcun sospetto, se non volessimo a tutti i costi indagare il perché di questa condizione. Diamo pure alla madre il beneficio del dubbio, magari si tratta di una donna sfortunata, ragazza madre, divorziata o vedova, ci può stare. Quello che dovrebbe insospettirci è il modo in cui l’ha chiamata. Come funziona, Cappuccetto di nome e Rosso di cognome? O si tratta più plausibilmente di un soprannome all’apparenza innocuo che però cela una volontà di distanziarsi, di negare l’intimità del rapporto madre/figlia in favore di una specie di lazzo da caserma?
Ma no, diranno i miei piccoli lettori, la chiamava così perché la bambina indossava sempre una mantellina rossa con il cappuccio. E bravi. Portatemi le vostre foto delle elementari, così vediamo come vi vestivano i vostri genitori. Tutti ci siamo un po’ vergognati nell’indossare certi cappellini pelosi coi pon-pon, o certi calzoncini alla zuava, su questo siamo d’accordo, ma tutti i giorni la stessa mantellina mi pare un filino eccentrico.
E qui subentra un altro sospetto. Essere sempre vestiti allo stesso modo rappresenta senz’altro un problema se abbiamo una vita sociale, ma non è questo il caso di Cappuccetto Rosso, perché lei a scuola non ci è mai andata.
Tiriamo le somme. Una donna che ha una figlia piccola sceglie di isolarsi con lei (la casa ai margini del bosco), di tenerla a debita distanza emotiva (il nome) e in qualche modo di nasconderla (alla propria vista con la mantellina informe e alla vista degli altri evitando di mandarla a scuola). Logica deduzione: Cappuccetto Rosso è grassa.
Grassissima, così grassa che la madre non solo se ne vergogna e non ne sopporta la vista, come si evince da ciò che abbiamo analizzato qui sopra, ma cerca periodicamente di liberarsene. Come? Facile, spedendola da sola nel bosco con la scusa di portare le focaccine alla nonna.
La storia la conosciamo tutti. La mamma che dice: Vai, Cappu, porta le focaccine alla nonna, ma non fermarti nel bosco per nessun motivo. Poi se uno vuole qui ci può leggere la volontà squisitamente materna di preservare la prole dai pericoli, mentre in realtà la mamma cercava di evitare che quella massa informe della figlia approfittasse della privacy offerta dalla boscaglia per concedersi uno spuntino extra.
In effetti Cappuccetto Rosso era affamata come un piranha. Un piccolo buco nero pronto a ingoiare qualsiasi entità commestibile alla sua portata. Una carenza d’affetto oceanica che gridava vendetta ai carboidrati.
La troviamo così, intenta a divorare focaccine dietro un albero, anzi la trova il lupo, animale che notoriamente sta lì a rappresentare –lo dico?– il sesso, cari miei. Qual è una delle espressioni verbali più comuni per definire un uomo bisognoso di soddisfare le proprie pulsioni sessuali? Proprio quella. Cappuccetto Rosso però, a dispetto dei riferimenti anatomici suggeriti dal suo nome, non è interessata alla cosa; dopotutto lei cerca l’amore che le manca, pur consapevole di potersi accontentare di un surrogato di affetto. Il lupo questa cosa la afferra al volo (sarà che raramente gli capita di trovarsi faccia a faccia con qualcuno più vorace di lui e la cosa lo fa riflettere) e cambia immediatamente strategia.
Sappiamo che si sostituirà alla nonna, simbolo dell’affetto materno elevato all’ennesima potenza, anzi, più che sostituirsi la divora e così facendo se ne impossessa totalmente, diventa tutt’uno con l’archetipo affettivo. D’altra parte è risaputo che gli uomini ottengono il sesso barattandolo con l’affetto e viceversa, no?
Questa è una favola sulla fame.
E chi ha fame viene divorato. Così Cappuccetto Rosso va incontro al suo destino, fagocitata dal proprio incontenibile appetito, implosa nel suo stesso vuoto.
Per fortuna alcune favole hanno un lieto fine e in alcune favole compare a un certo punto un cacciatore, che a volte incasina tutto (vedi Biancaneve), ma in altri casi risolve. Sì, perché da una parte o dall’altra i vuoti vanno colmati e prima o poi l’amore arriva e il lupo perde il pelo ma non il vizio. E’ per questo che il cacciatore pensa bene di conservarne la pelliccia, per poi indossarla in quei momenti in cui c’è bisogno di dare nuovo slancio alla vita erotica e così bardato a volte insegue Cappuccetto Rosso nel bosco.
E la mamma? Nessun problema, trasmessa la sua benedizione alle nozze e accampata una scusa plausibile per non parteciparvi, ha convertito la casetta ai margini del bosco in una guesthouse per la Meditazione DinamicaTM secondo il metodo Osho, resistendo però alla tentazione di chiamarla The House of Cappuccetto R-Osho.


Episodio precedente: Biancaneve Bipolare e i Sette Nani Capitali

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  1. essenziale commented:

    che meraviglia!

    Bruno Bettelheim sarebbe fiero di te e se non l’hai letto fallo… per nuovi spunti, voui mai

    vado subito a leggere l’episodio precedente che già solo dal titolo è tutto un programma…

  2. severine commented:

    Oppure si rivolterebbe nella tomba, a scelta. 🙂

    Non ho mai letto niente di suo, mi documenterò.

  3. essenziale commented:

    nella fattispecie mi riferivo a:

    Il mondo incantato

    Uso, importanza e significati psicoanalitici delle fiabe

    Bettelheim Bruno

    Casa editrice: Feltrinelli

    Collana: Universale economica

    Anno pubblicazione: 2000

  4. gurb commented:

    è davvero splendido questo post, ne vorrei un copia registrata, da ascoltare la sera prima di addormentarmi 🙂

    Gurb

  5. severine commented:

    Attento a quello che chiedi perché potresti anche ottenerlo 🙂

  6. manuelcalavera commented:

    in effetti, l’anagramma tu poco secca, sport!!! è sospetto…

  7. b.georg commented:

    ora la faccio leggere al mio capo…

    😉

  8. severine commented:

    Il tuo capo direbbe che bisogna coccolarsi il proprio lupo 🙂

  9. Effe commented:

    adesso basta.

    Sono secoli che denigrate noi lupi.

    Tanto, le favole le scrivete voi, decidendo chi sono i buoni e chi i cattivi.

    Ma lo sapete come sono andate davvero le cose?

    Ebbene, sì, ho chiesto a Capucine (alla francese, così vuole che la chiami) la prova d’amore, ma lei m’ha risposto Prima sposami, senno te lo scordi.

    Ora lavo i piatti, stiro, rammendo, porto fuori la spazzatura, e se la minestra di porri, la sera, non è cotta al punto giusto, Capucine mi prende a cinghiate (dice che lo fa per il mio bene)

  10. gurb commented:

    uno le prova tutte, dalla gestalt all’auto-ipnosi, dalla psicogenealogia alla psicomagia, perchè non provare con le fiabe registrate di Severine? :-)))

    Gurb

    P.s: hai già cominciato con le incisioni?

  11. yae commented:

    ciao cappuccetta…